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Da quando la Natura ha introdotto la laringe
su questo pianeta la poesia é entrata nell'universo. L'Uomo ha iniziato prima a poetare e poi a parlare seguendo una logica specifica che é poi diventata linguaggio. Quindi, di fatto la poesia é ancora piú antica delle lingue. La scrittura ha permesso la trasmissione della poesia attraverso le generazioni senza la necessaria presenza sincronica di Poeti e lettori. Con l'introduzione della stampa all'inizio del secondo millennio in Cina con Bi Sheng e poi in Germania con Gutenberg, la poesia riusci a moltiplicare i propri canali di trasmissione. Ora c'é chi pensa che la poesia sia morta perché nessuno compra piú libri di poesia. Ma i milioni di poeti sanno che questa é solo un' illusione. La poesia ora si é trasformata, é andata oltre la laringe, la lingua e la scrittura. La poesia del terzo millennio é diventata multisensoriale e i poeti invece di pizzicare la lira entrano in costrutti virtuali, nelle console dei video games nei cinema, nei video. La poesia performa dai palcoscenici dei teatri, si mischia con la stand up comedy, live art, arte e fotografia astratta. La ragione per cui non si vendono libri di poesia é perché la poesia non é piú nei libri. Tuttavia il text é ancora importante. Molto spesso é il punto di partenza. E' come dire il mio tavolo pieno di scartoffie ... quindi torna spesso se ti va di leggere altre cose .
Se ti interessa la performance poetry ascolta qui e guarda là. Al momento sto lavorando alla mia opera omnia 'Verso Isole'. Una serie di raccolte scritte su o verso isole. |
Video Poesia La mente é un cielo dietro lospecchio. 0:33
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ICNUSA
Standard diffuso di melanconici richiamo-immagine. Chi sei? Tu, intrasentita nel confuso coro d’odori che porta il maestrale. Lontana, oppure assiepata, eppure sottesa, informe idea. Sperimento combinazioni di parole e non m’aspetto risultati soddisfacenti. Così faccio con i sorrisi che ti rifilo. Così fai coi tuoi sotterfugi -più o meno consci- per guadagnarti il primo posto tra i miei pensieri. Mormorìo d’un dormiente all’ombra. Ora facilito l’insensibilità ai vari ‘mi manchi’ di chi mi manca. M’aiuta un sole salubre e una paura di luce, un vorace istante duro, dai denti stride e cerca capacità che ‘ntontiscono. Imparo l’arte di dileguarmi tra i rumori di una spiaggia. Ascolta e non compone, composta e sigillata oscura scomoda il superamento che duole nell’anima. Ma non ferita freme e ti fermenta dentro, in fine, se è vista d’un tramonto. Di che parli? Chi è il soggetto delle tue visioni? Nulla. Un solo raccontare a sé stesso. Lì. Ti rimanda al giogo d’uno starnuto o d’uno sbadiglio. Non ho mai visto bandiere ferme o pietre sventolanti. Tu non ci credi, ma impazza il freddo sorprendente Luglio. Un cambio di stagioni di ora in ora, o semplicemente un ritmo segnato dal veloce passaggio di sbuffi di nube. Sto a vomitare indecifrabili silenzi –apparenti-. Perchè in realtà freme -e grave ribollisce- il continuo aggregarsi di simboli -tensione interiore-. Guardo fuori da ‘sti vetri ondulati cercando d’interpretare la distorsione che m’appare. Pare impossibile. Ma non ci capisco un granché Le forme si mescolano ai suoni, i colori alle voci, i passi alle architetture, il design alla natura, l’arte alla scienza. Indecifro in un non-stop d’investigazioni rasenti la meticolosità d’una formica. E poi decanto concetti già compresi per trovarci dentro fondi d’errore espositivo. Un blu diffuso tendente al verde. Forse è che la luce sia in errore, ora che mostra aspetti di dogmi fotosimpatici dell’acqua? Il suo linguaggio somiglia a quello d’un poeta astratto. Tutti tesi sti scrittori nel tentativo d’essere compresi. Non di certo quello che vive nel mondo dello spontaneo. Cumpresu hai? “Pinn'e aradu miro in nobilesa, ma sa pinna dat fruttu pius mannu: chie trattat a issa 'estit de pannu ch'hat in valore pius alta impresa, un'avvocadu cun d'una diffesa ti comporat s'intrada de un'annu. Ecco su fruttu chi sa pinna dada in d'un'iscutta comporat s'annada. ”. Schegge di memorie paterne che s’infiltrano nel presente. Dicevo quello esente dai doveri di culture chichessiano. Dimmi per esempio, cosa leggi nel pattern d’onde a intermittenza irregolare con sgarbo di creste spruzzate da brezze pazze? O dimmi, che ci capisci nella planata ferma d’un gabbiano contro vento? O dall’intricato rapporto tra macchia mediterranea e massi che si divincolano in un tuffo a mare? Qual’è il messaggio di luci ed ombre tra le dunettine di spiaggia calpestata quando il sole è quasi giù basso ed in più si nasconde in un lento ritmo di nubi? Ecco, in questa lista di indecifrabilità metto le mie parole. E non azzardarti a dire che non comprendi. E che potrebbe poi portarti la comprnsione di fenomeni naturali concatenati? Quale mai potrebbe essere il tuo vanto se non quello di essere stata lì con me ad intravvedere il ‘come’? Come: un semplice guadare si lascia dietro un simile colpo di coda semantico. Un borbottare magnificenze accade allo scottante milionesimo sole. Un abracadabra che svela in sé il trucco, tanto che potresti riviverlo e pure tu raccontarlo, se solo lo volessi. Perché questa è la formula che ti svelo oggi, per fare dell’alchimia inversa e trasformare l’oro della tua logica cosciente, nel vile metallo d’un semplice pomeriggio al mare. |
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Dammi Wabi-Sabi
Dammi dammi dammi dammi
una poesia con parole bomba!
Dai, qualcosa che
ti sfondi il cervello
come palle di
cannone di feltro
di lana agnello.
Macché di più.
Dammi dammi dammi dammi
la chiave per aprire il tesoro
di monete d'oro
chiuso per sempre
dimenticato
sotterrato
sotto strati di concetti complessi
e culture pedanti.
dammi dammi dammi dammi dammi
la catenella da seguire
che porta al tappo
come se fossi in un’apnea perenne.
Tiri tiri tiri tiri
e ti ritrovi in un gorgo.
E tutto il mondo ti passa davanti
Urlandoti in faccia
che puoi fare di meglio.
Cara signora,
il ragazzo non si impegna
eccetera eccetera eccetera
eccetera eccetera.
E giri giri giri giri
e ti ri-groovy in un torchio
Macina macina macina,
dove le parole si compongono
calcolate al millesimo random
din din din
Dammi dammi dammi la pace sporca
di una vasca vuota
con il mondo appiccicato ai bordi.
Dal punto di vista dei batteri
è un infinito nulla bianco
che tra un po’
sarà secca echeggiante catarsi.
Dammi dammi
Dammi dammi di più.
Lo so che posso inglobare l'universo
e shakerarlo come una mano di dadi infiniti
per una scommessa
vinta con totale certezza.
Così da perdonare
tutti gli sbagli
e tutti gli errori di tutti e di sempre.
Che è l'errore perfetto
quello che cerco.
È l'errore perfetto quello che cerco.
L'errore perfetto.
Quello che fa del vasellame un pezzo d'arte.
Il buco
che rende il vaso inutile.
È questo incommensurabile
eterno momento d’errore,
il corrispondente letterario
dell'arte che si fa da sola.
Ecco, ecco quello che cerco,
ecco quello che cerco.
E per cominciare...
smetto di scrivere.
Dammi dammi dammi dammi
una poesia con parole bomba!
Dai, qualcosa che
ti sfondi il cervello
come palle di
cannone di feltro
di lana agnello.
Macché di più.
Dammi dammi dammi dammi
la chiave per aprire il tesoro
di monete d'oro
chiuso per sempre
dimenticato
sotterrato
sotto strati di concetti complessi
e culture pedanti.
dammi dammi dammi dammi dammi
la catenella da seguire
che porta al tappo
come se fossi in un’apnea perenne.
Tiri tiri tiri tiri
e ti ritrovi in un gorgo.
E tutto il mondo ti passa davanti
Urlandoti in faccia
che puoi fare di meglio.
Cara signora,
il ragazzo non si impegna
eccetera eccetera eccetera
eccetera eccetera.
E giri giri giri giri
e ti ri-groovy in un torchio
Macina macina macina,
dove le parole si compongono
calcolate al millesimo random
din din din
Dammi dammi dammi la pace sporca
di una vasca vuota
con il mondo appiccicato ai bordi.
Dal punto di vista dei batteri
è un infinito nulla bianco
che tra un po’
sarà secca echeggiante catarsi.
Dammi dammi
Dammi dammi di più.
Lo so che posso inglobare l'universo
e shakerarlo come una mano di dadi infiniti
per una scommessa
vinta con totale certezza.
Così da perdonare
tutti gli sbagli
e tutti gli errori di tutti e di sempre.
Che è l'errore perfetto
quello che cerco.
È l'errore perfetto quello che cerco.
L'errore perfetto.
Quello che fa del vasellame un pezzo d'arte.
Il buco
che rende il vaso inutile.
È questo incommensurabile
eterno momento d’errore,
il corrispondente letterario
dell'arte che si fa da sola.
Ecco, ecco quello che cerco,
ecco quello che cerco.
E per cominciare...
smetto di scrivere.
Dono Di Beatitudine
Non per niente
mi sono addormentato
nel momento in cui ho messo piede qui.
Ancora fradicio di fluido amniotico,
quando la prima bolla d'aria
m’ha strinato ai polmoni.
Mica ero sveglio là.
E così non lo sono qua.
Dopo aver calpestato interni di scarpe
per milioni di chilometri.
Dopo aver mangiato e defecato
quintali di merda.
Bevuto ettolitri di imbevibili bevande. Giocato, rubato, cantato,
raccontato palle,
esercitato il mio diritto alla tristezza, ricordato, dimenticato,
chiavato fino allo sfinire
di membro e membra.
Incontrato, risolto difficoltà.
Identificato falsità,
riscontrato assolute certezze.
Ancora dormo, ancora sogno,
nel punto cieco dello sguardo di Dio.
Qui,
sulla cima delle mie inaccessibili idiozie
a contemplare opinioni errate
su errati dati di fatto.
Qui,
ancora attendo
al consapevole dono di beatitudine
che mi ha dato
solo il venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
Non per niente
mi sono addormentato
nel momento in cui ho messo piede qui.
Ancora fradicio di fluido amniotico,
quando la prima bolla d'aria
m’ha strinato ai polmoni.
Mica ero sveglio là.
E così non lo sono qua.
Dopo aver calpestato interni di scarpe
per milioni di chilometri.
Dopo aver mangiato e defecato
quintali di merda.
Bevuto ettolitri di imbevibili bevande. Giocato, rubato, cantato,
raccontato palle,
esercitato il mio diritto alla tristezza, ricordato, dimenticato,
chiavato fino allo sfinire
di membro e membra.
Incontrato, risolto difficoltà.
Identificato falsità,
riscontrato assolute certezze.
Ancora dormo, ancora sogno,
nel punto cieco dello sguardo di Dio.
Qui,
sulla cima delle mie inaccessibili idiozie
a contemplare opinioni errate
su errati dati di fatto.
Qui,
ancora attendo
al consapevole dono di beatitudine
che mi ha dato
solo il venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
con il
solo venire in contatto
Anni Persi
Cerco il gap esistenziale,
quando ti si trangugia il passato in una risata.
S’abbatte la prigione di paure che ti proietti attorno.
Anni persi ora sono maestri,
che ti salutano da lontano,
ma non ti volti.
Cerco il gap esistenziale,
quando ti si trangugia il passato in una risata.
S’abbatte la prigione di paure che ti proietti attorno.
Anni persi ora sono maestri,
che ti salutano da lontano,
ma non ti volti.
Arte Floppa*
Al mattino l'aria è troppo fine
per fare cose.
Vedi?
Come la respiri
svanisce all'istante nel sangue.
Pare non sia capace
di raggiungere le cervella con una consistente pressione.
Così i pensieri rimangono imbrattati di fluido onirico.
E non resta che assecondare
l’insistenza d’una parola
che urge essere scritta.
Ecco.
S’approccia il mezzogiorno.
Con la cancrena di una fame
che s’è ignorato
per ore e ore e ora divora
le pareti dello stomaco da dentro.
Ma l'idea non si è ancora fatta solida.
È solo un amalgama senza forma.
Non la si può abbandonare ora a sé stessa.
È come una pasta non ancora lavorata,
che s’appiccica alle dita.
Quindi la fame grida,
come un neonato in lavatrice.
E la parola urge essere scritta.
La fame in confronto è una carezza.
Quando urge la parola,
l'universo diventa un microscopico gorgo
dentro in mezzo alla psiche.
Chiara, nitida,
come lo sputo nella polvere,
diventa una goccia impermeabile.
Chiede di manifestarsi,
attira tutti,
tutti i bandi di matassa
abbandonati in zona,
inglobando nella sua nuova gravità
milionate di pensieri fatti e mezzo.
Distratti dal telefono,
dalle richieste di attenzione
della femmina di turno,
troncate dalla meraviglia d’un arcobaleno
o qualche altra magnificenza collaterale.
Tipo miriadi d’ape rifratta
in micro-gocce di rugiada
e altri invisibili eventi irrilevanti.
Un gorgo
di concetti abortiti che
s’omogenizzano,
avviluppandosi al nucleo di quella parola che urgeva essere scritta.
Passato il mezzogiorno,
quando in case gente normale
guarda televisori,
il gomitolo di idee s’è fatto grande
come tutta la stanza.
Ora che l’aria s’è fatta densa,
fors’è tempo d’uscire.
E uscendo, con la porta spezzare il filo,
lasciando il capo sul ciglio,
con la speranza che in nostra assenza
il curioso di passaggio lo noti
e se lo tiri appresso
srotolando il gomitolo.
Che poi passi il capo lo ad altri
ed altri e altri ancora
e altri ancora ad altri,
finché la parola
che urgeva essere scritta
abbia tessuto la sua tela
imprecisa bislacca
che di certo non funziona.
Come ragnatele spray ad Halloween
non catturano mosche,
così quest’escrescenza che chiamiamo Arte
se ne sta là
appesa floppa al mondo
forse per ere ma di certo per niente
forse per ere ma di certo per niente
forse per ere ma di certo per niente
*dall’inglese ‘flop’, inteso come ‘hang in a loose and ungainly way’, appesa in modo sciolto e sgraziato.
Al mattino l'aria è troppo fine
per fare cose.
Vedi?
Come la respiri
svanisce all'istante nel sangue.
Pare non sia capace
di raggiungere le cervella con una consistente pressione.
Così i pensieri rimangono imbrattati di fluido onirico.
E non resta che assecondare
l’insistenza d’una parola
che urge essere scritta.
Ecco.
S’approccia il mezzogiorno.
Con la cancrena di una fame
che s’è ignorato
per ore e ore e ora divora
le pareti dello stomaco da dentro.
Ma l'idea non si è ancora fatta solida.
È solo un amalgama senza forma.
Non la si può abbandonare ora a sé stessa.
È come una pasta non ancora lavorata,
che s’appiccica alle dita.
Quindi la fame grida,
come un neonato in lavatrice.
E la parola urge essere scritta.
La fame in confronto è una carezza.
Quando urge la parola,
l'universo diventa un microscopico gorgo
dentro in mezzo alla psiche.
Chiara, nitida,
come lo sputo nella polvere,
diventa una goccia impermeabile.
Chiede di manifestarsi,
attira tutti,
tutti i bandi di matassa
abbandonati in zona,
inglobando nella sua nuova gravità
milionate di pensieri fatti e mezzo.
Distratti dal telefono,
dalle richieste di attenzione
della femmina di turno,
troncate dalla meraviglia d’un arcobaleno
o qualche altra magnificenza collaterale.
Tipo miriadi d’ape rifratta
in micro-gocce di rugiada
e altri invisibili eventi irrilevanti.
Un gorgo
di concetti abortiti che
s’omogenizzano,
avviluppandosi al nucleo di quella parola che urgeva essere scritta.
Passato il mezzogiorno,
quando in case gente normale
guarda televisori,
il gomitolo di idee s’è fatto grande
come tutta la stanza.
Ora che l’aria s’è fatta densa,
fors’è tempo d’uscire.
E uscendo, con la porta spezzare il filo,
lasciando il capo sul ciglio,
con la speranza che in nostra assenza
il curioso di passaggio lo noti
e se lo tiri appresso
srotolando il gomitolo.
Che poi passi il capo lo ad altri
ed altri e altri ancora
e altri ancora ad altri,
finché la parola
che urgeva essere scritta
abbia tessuto la sua tela
imprecisa bislacca
che di certo non funziona.
Come ragnatele spray ad Halloween
non catturano mosche,
così quest’escrescenza che chiamiamo Arte
se ne sta là
appesa floppa al mondo
forse per ere ma di certo per niente
forse per ere ma di certo per niente
forse per ere ma di certo per niente
*dall’inglese ‘flop’, inteso come ‘hang in a loose and ungainly way’, appesa in modo sciolto e sgraziato.
Contorno occhi
Novita?
Un vocìo soffuso
o io distratto?
Porto a spasso la netta immagine
del tuo contorno occhi.
Forse scivolo in un’altra
situazione passato da eludere.
Esco ora memore
da un tuo soliloquio sorridente.
Al bar ho offerto
un paio di sguardi al pomeriggio
sottoforma di culi
dondolanti
fuori dal vetro.
Poi mogio mogio
mi sono insinuato
nell’ombra verdastra
lungo lungo un viale,
edera sul muraglione.
Ho chiesto al passo
di portarmi a casa
e lui niente,
come il vecchio beone d’un amico,
s’è trascinato dopo una sequenza
di visioni in bianco e nero
a ciotolare la stradina del parco.
Lui era lì,
un platano
pieno di sé stesso
a disegnare squarci
d’ultimo cielo rosa
tra i suoi rami bui.
Ho visto il mondo
come fossi un palombaro.
Calato sul fondale di sta Terra,
totalmente dimentico
di chi o cosa
lo debba ritirare su.
Avvolto da uno scafandro appannato
mi sono perso
nel mio passo peso.
Nel moto lento
mi sono chiesto più volte
chi-da-dove-a-dove.
Mai una risposta
a corrodere il torpore.
Vorrò aspettare che torni
il tuo contorno occhi.
Novita?
Un vocìo soffuso
o io distratto?
Porto a spasso la netta immagine
del tuo contorno occhi.
Forse scivolo in un’altra
situazione passato da eludere.
Esco ora memore
da un tuo soliloquio sorridente.
Al bar ho offerto
un paio di sguardi al pomeriggio
sottoforma di culi
dondolanti
fuori dal vetro.
Poi mogio mogio
mi sono insinuato
nell’ombra verdastra
lungo lungo un viale,
edera sul muraglione.
Ho chiesto al passo
di portarmi a casa
e lui niente,
come il vecchio beone d’un amico,
s’è trascinato dopo una sequenza
di visioni in bianco e nero
a ciotolare la stradina del parco.
Lui era lì,
un platano
pieno di sé stesso
a disegnare squarci
d’ultimo cielo rosa
tra i suoi rami bui.
Ho visto il mondo
come fossi un palombaro.
Calato sul fondale di sta Terra,
totalmente dimentico
di chi o cosa
lo debba ritirare su.
Avvolto da uno scafandro appannato
mi sono perso
nel mio passo peso.
Nel moto lento
mi sono chiesto più volte
chi-da-dove-a-dove.
Mai una risposta
a corrodere il torpore.
Vorrò aspettare che torni
il tuo contorno occhi.